storia di una vita. Dalla Ciociaria all’Agro Pontino

La mia vita è stata molto dura. Sono nata nel 1944 ed in quell’anno c’era ancora la guerra. Si lavorava tanto sia in campagna che in casa. Si viveva di quello che si riusciva a produrre. In casa eravamo in cinque: mio padre, mia madre e tre figli. Poi la guerra è finita e si è continuato a lavorare tanto sia in campagna che a casa.Già a sette anni, prima di andare a scuola, dovevo  raccogliere le olive o le ghiande, poi mi avviavo e, se arrivavo tardi, d’inverno, mezza nuda, che mica mettevamo il piumone e gli scarponi come oggi, le mani gonfie di freddo perché non avevamo neanche i guanti, il maestro mi aspettava con la bacchetta in mano: “Dai qua la mano!” e giù una botta. e ogni volta che la ritiravo, per la paura ed il dolore,me ne dava un’altra. Quando uscivo da scuola, andavo a pascolare i tacchini, che noi li abbiamo sempre avuti  i tacchini, ma i tacchini devono camminare tanto e tutto il giorno, così camminavo tanto pure io appresso a loro. Quelli più  camminano più stanno bene.Ed andavano, andavano ed io sempre dietro cercando di tenerli uniti o di riunirli ogni volta che si sparpagliavano nei vigneti od in aperta campagna.

 Durante il tempo della vendemmia poi, quando raccoglievano l’uva, cascavano a terra dei chicchi e i tacchini, come se ne accorgevano e senza che avessi  il tempo di impedirglielo, erano  nella vigna a spargersi dappertutto e a mangiare non solo i chicchi per terra ma anche quelli ancora sulle  viti. Naturalmente era terreno di altre persone e, quando quelli vedevano che stavano mangiando l’uva,  mi urlavano dietro. I tacchini, però, erano sempre non meno di 60/70 animali e si allargavano di continuo ed io  per controllarli dovevo correre, correre, correre sempre in tondo fino a che non li avevo riuniti  e poi potevo spingerli fuori dalla vigna. Tutto il giorno in giro così .

Una volta mi si era fatta una cosa al piede e tutta la notte quella cosa batteva, batteva perché c’era del pus. Su quel piede, il giorno dopo, non sono riuscita ad infilare la scarpa, Sono uscita con una scarpa al piede ed una in mano, e, una volta in campagna, mi sono seduta per terra. C’era uno lì che portava sempre un coltellino  in tasca. Me lo sono fatto dare. Mi sono tagliata da sola. Ho fatto uscire il pus, ho messo le scarpe ed ho continuato a seguire i tacchini.

Si lavorava tanto. Mia madre rimaneva in casa, ma tutti gli altri fuori a faticare in campagna. A me, poi, a volte toccavano anche le mucche e, la sera, dopo cena, facevo i compiti ma li facevo velocemente perché a scuola stavo sempre molto attenta.
 
Io e la mia compagna di banco eravamo le prime della classe, ma avevamo un maestro che, dire che era cattivo, è dire poco. A mio cugino, a forza di tirargli le orecchie, gliene aveva staccata una. Lui poi ha nascosto la ferita coi capelli e non ha detto niente a casa altrimenti anche l’altra gli staccavano.

La scuola non era in paese, ma in campagna, in una casa privata. Una famiglia privata metteva a disposizione una stanza e noi la usavamo come scuola e io dovevo fare  circa 4 km a piedi per raggiungerla e 4 km per tornare a casa. Non ero sola naturalmente. C’erano anche gli altri compagni con me.

Questo maestro però era cattivo,  cattivo come la peste. Se facevi anche una piccola cosa, ti metteva in ginocchio sul granoturco e dovevi rimanere lì anche per mezz’ora o un’ora.  Quando ti rialzavi il granoturco si era infilato dentro le ossa e lui, vedendo quella cosa, rideva, rideva.

Un bel giorno, non sono andata a scuola, ma mi sono nascosta in casa di un’amica. Sua madre avrebbe anche potuto dire che non era cosa da farsi, ma non ha detto niente e così io,  per tre o quattro giorni, sono rimasta a casa sua . Quando passavano i miei compagni di classe, mi accodavo  e tornavo a casa. I miei compagni non hanno mai fatto la spia.

Purtroppo lì vicino ci abitava la mamma di mia cognata. Quella non aveva niente da fare tutto il giorno e stava sempre alla finestra. A quei tempi già a 50 anni stavano per strada a guardare cosa facevano gli altri e a spettegolare. A volte ci si mettevano pure in 3 o 4. Siccome non avevano niente da fare, contavano quelli che passavano, quanti passi facevano e come li facevano. C’è da dire, però, che erano anche sempre molto disponibili ad aiutare se ce n’era bisogno.

Comunque sia, lei era già da  qualche giorno che non mi vedeva passare per andare a scuola, né mi vedeva passare per tornare a casa, così è andata su da mia madre a dire: ” Ma Rosa  non va a scuola, sta male?” Mia madre l’ha guardata a bocca aperta e poi ha detto : “Come? Sì che ci va!” E lei: “Ma io non la vedo passare.”

Il giorno dopo io, ignara di tutto, sono uscita di casa come sempre e  lei, mia madre, dietro di me. Io non mi  sono accorta di niente, ma  quando  stavo per infilarmi là, in quella casa, solo allora l’ho vista! Ho avuto un balzo al cuore e, per tentare di salvare il salvabile, mi  sono messa a correre verso la scuola! Io correvo e lei pure. Allora cercavo di  correre più di lei , ma poi davanti alla  scuola mi ha raggiunto e mi ha acchiappato  per i capelli. che a quel tempo li avevo lunghi fino al sedere. Mi ha acchiappato per i capelli e poi quante me ne ha date!  Calci e pugni! Quante me ne ha date! La proprietaria della casa dove c’era la scuola e che aveva un figlio poliziotto, al vedere tutto questo, si è avvicinata e le ha urlato: “Dammi il tuo nome e cognome che ti faccio arrestare da mio figlio!” ed il maestro alla finestra che rideva, rideva.
 
Questo maestro lo abbiamo avuto fino alla terza elementare poi ne è venuto un altro che era bravissimo. Infatti, grazie a lui, io e la mia compagna abbiamo vinto un premio. Dovevamo andare a Fiuggi a ritirarlo, così, il giorno stabilito, siamo andate in comune e lì  il Preside ci ha dato delle scarpe, una cartella, dei calzini ed un grembiule in modo da essere presentabili al ritiro del premio.
 
Mio padre, che non ha mai creduto a questa cosa,  al fatto che io avessi vinto  un premio, non ha voluto accompagnarmi.  Il padre della mia amica, invece, lui  ci ha accompagnate.
 
A Fiuggi c’erano  alunni di altre scuole, anche loro i più bravi della loro scuola, e c’era anche Papa Giovanni, il papa buono. Ci hanno dato il pranzo, la medaglia del Papa, una scatola con trecento cioccolatini, un libretto con 25.000  lire e due libri ma questi li ha presi il maestro dicendo che ce li avrebbe restituiti ma non è stato così.” Ve li riporto a fine settembre” ma lui a fine settembre non e’ più tornato,  era stato trasferito.  Me li ha presi sul pullman al ritorno. Le  25.000 lire le dovevo riscuotere alla maggiore età che, a quel tempo, era a 21 anni.

Quando siamo andati a Fiuggi, neanche mia madre mi  ha  accompagnato. Lei però  non poteva  perché  a quel tempo era in ospedale. Era  appena stata operata. E’ stata operata  per altre 7 volte. Un brutto male al pancreas se l’è  portata via.Anche mio padre ci ha lasciati presto: a soli 66 anni per un tumore al cervello, dopo due anni di sofferenza.

E’ stato bruttissimo quando ho perso i miei genitori. Erano troppo severi, non perché ci volevano male, al contrario, era il loro modo di educarci. A noi figli hanno dato più di quello che potevano dare e per questo non serbo rancore.
 
Il  periodo della  scuola è finito in 5 elementare perché a quei tempi ,un po’ perché non c’erano le possibilità, un po’ perché per la maggior parte dei genitori la donna era solo per cucinare, lavorare, fare la moglie, fare figli e, per fare questo, non aveva bisogno di studiare.
 
Subito dopo  è iniziato il mio calvario vero e proprio e cioè lavorare tanto in casa ed in campagna e mai nessun divertimento. A 13 anni ero io che facevo il pane per tutta la famiglia. Lavare i piatti toccava sempre a me, A quel tempo i più giovani dovevano fare tutto. Una sera ho detto a mia cugina di chiamarmi quando avevano finito di lavare i piatti che, così, quando arrivavo io, i piatti li avevano già  lavati. Così ho preso le botte ed ho lavato i piatti. Come facevo una cosa erano botte perché per mia madre dovevo essere precisa, corretta, non dovevo sbagliare né  a parlare, né a stare zitta, né a camminare. Era gelosa. Me ne dava di botte e quando non riusciva a prendermi, mandava mio fratello, quello mi acchiappava e mi portava da mia madre. Una volta me ne ha date così tante che sono svenuta. C’era una vicina, Michelina, che andava da lei e le diceva: “Ho visto Rosa in campagna quando è andata a pascolare che parlava con uno.” E mia madre giù botte. Lei lo diceva così solo per divertimento.
All’età di 13-14 anni sono cominciati i primi fidanzatini. Uno mi piaceva, era interessato a me,  ma per mia madre niente da fare perché quello voleva trasferirsi in Canada e lei aveva paura di perdermi per sempre. Infatti, lui ancora oggi è lì, in Canada. Allora erano i genitori che decidevano chi ti dovevi sposare.  Poi volevano farmi sposare con uno sgorbio, brutto e che  fumava come un turco. Io avevo 17 anni e lui 36 anni e volevano farmelo sposare solo perché era benestante di terreni ed aveva 50-60 mucche. Io sarei morta mungendo le mucche e zappando. Per fortuna anche mia cognata si è opposta. Ha detto ai miei genitori: ” Ma non vi vergognate, questa è una bambina.” E’ venuto due o tre volte a casa, sempre di domenica, perchè  venivano a casa solo di domenica e poi non si è più fatto vedere.  

Ho  conosciuto mio marito  alla festa del  paese. L’ho conosciuto e lui la domenica dopo  è venuto a casa. Prima di me, dovevano essere d’accordo i miei. Se non erano d’accordo, non se ne faceva niente. Infatti,  hanno preso informazioni, però qualcuno ha detto qualcosa che non andava bene, ha detto che era uno zompafosso cioè uno che ne passava tante di donne e così niente, non lo volevano.

Io, però, mi ero un po’ intestardita. Per la prima volta mi sono ribellata e ho vinto.  Così la domenica l’hanno fatto entrare di nuovo in casa. I miei genitori non volevano anche perché era troppo giovane. Ogni volta che veniva a trovarmi, io stavo seduta ad un lato del tavolo, lui dall’altro e poi c’era mia madre. Io zitta tutto il tempo. Loro parlavano di cavolate. Se non c’era mia madre, c’era mia cognata. Non stavamo mai da soli, c’era sempre un guardiano.

Quello è stato il mio fidanzamento. Ho saputo solo dopo un mese come si chiamava ed è successo per caso.. Me lo ha detto un suo amico:”E’ venuto  Giovanni ieri sera?” e così ho capito come si chiamava .  Siamo andati avanti così per circa sette mesi ma  poi ,una domenica, è capitato che siamo andati a messa. io, una mia amica e lui ed io ero senza la scorta di qualche adulto.
 
Tutte le domeniche andavo a messa e ci  andavo con tutta la famiglia oppure c’era sempre una della famiglia come scorta che poteva essere mia madre o mia cognata. La scorta non poteva mai mancare perché lì incontravo lui. Dopo la messa ognuno a casa sua. Quella domenica è capitato che tutti avevano qualcosa da fare e nessuno poteva accompagnarmi.  Non volevano mandare neanche me, ma io ho insistito. Ho detto che sarei potuta  andare con la madre della mia amica Iolanda ,che abitava vicino a casa mia. La madre di Iolanda, però, non è venuta e così siamo andate io e lei da sole.

Ora, il mio paese si trovava sopra una collina, poi in mezzo c’era una vallata e poi accanto un’altra collina dove c’era casa nostra. Da casa nostra si potevano  vedere la chiesa e le persone che uscivano dalla chiesa e  che si fermavano sul piazzale a chiacchierare. Insomma, mia madre poteva controllarmi anche da lontano e poteva vedere quando uscivo dalla chiesa e se tornavo subito a casa.

 Quel giorno, uscita dalla chiesa, mi ero fermata  a parlare con lui. La mia amica per un po’ mi ha aspettato, poi si è spazientita e se n’è andata e così quella è stata  la prima volta che ho parlato con lui da sola.

 Ad un certo punto mi sono accorta  che Iolanda non c’era più!  Il cuore mi si è fermato! Senza neanche salutarlo, mi sono girata verso casa ed    ho cominciato a correre, a correre, a correre: “Speriamo che non mi ha vista! Speriamo che non mi ha vista! ” Avevo solo questo pensiero in testa.

Quei tre o quattro chilometri che separavano casa mia dalla chiesa, penso di averli fatti in 3 minuti perché conoscevo mia madre e quello che poteva farmi. Correvo, correvo con solo quel pensiero fisso in testa: “Speriamo che non mi ha visto! Speriamo che non mi ha visto”. Purtroppo per me, però,  mia madre non  aveva visto me, ma aveva visto la mia amica ritornare  da sola. Quando sono arrivata a casa, loro  stavano già mangiando, io sono salita in camera  per cambiarmi: “Speriamo che non mi ha visto! Speriamo che non mi ha visto!” Poi l’ho sentita su per le scale. Ho sentito il suo passo: tac, tac, tac. Eccola! 
E’ entrata e senza dire niente, mi ha afferrato e  ha cominciato a darmele e me ne ha date talmente tante che ha dovuto correre mia cognata per fermarla. E mio padre che diceva: “Ammazzala o lasciala perdere!”  E così non ho mangiato quel giorno. Non sono neppure scesa dalla camera.

 Erano tutti d’accordo che lo sposassi. Erano stati anche a casa sua. Erano tutti d’accordo e ci saremmo dovuti sposare dopo che aveva fatto il militare perché era talmente giovane che non aveva ancora fatto  il militare. Dopo quell’episodio, però, tutto è cambiato. Quando è venuto, quel pomeriggio, non è entrato, ha incontrato mia cognata lì, fuori di casa, che gli  ha detto: ” Rosa è in purgatorio.”
“Che significa??” ha risposto lui.
“Che avete combinato oggi?” ha ribattuto lei.
“Niente”
“Come niente.  Iolanda è venuta prima di lei e lei è venuta dopo.”
“Ci siamo fermati a chiacchierare. Niente di più”
“Questo lo dici tu, ma la madre non la pensa così”.
Per mia madre avevo già fatto chissà cosa. Io ero in camera tutta piena di lividi, non avevo più occhi per piangere e mia madre che dalla cucina gli urlava: “Vattene! Vattene via!”
Lui allora ha risposto: ” Ah, è così. Beh, arrivederci, io qui non ci vengo più. Io non ho fatto niente.”

E così lui è andato via. Prima di andare via, però, si è messo d’accordo con mia cognata per tornare a prendermi la sera di nascosto. Mia cognata l’ha detto a me e io, che quella sera sarei andata via con chiunque, quella sera sono andata via con lui. Abbiamo fatto la fuitina. Non era una cosa difficile e rara fare la fuitina. La facevano un po’ tutti quando non c’erano i soldi o quando le famiglie non erano d’accordo. Noi tre fratelli, nessuno di noi si è sposato con tanto di abito bianco e ricevimento.

Lui si  è messo d’accordo con mia cognata  e così, dopo cena, è venuto a prendermi e, col buio,  siamo fuiti. Mia madre non lo sapeva,  altrimenti mi avrebbe dato il resto.

Abbiamo fatto la fuitina il 17 febbraio del 1963 e siamo andati ad abitare dai miei suoceri e così sono passata dalla padella alla brace. Mia suocera non mi ha mai accettata e mi ha trattata come se fossi stata la sua badante tutto fare 24 ore su 24.

Ora, dopo la fuitina, la prassi era che facevi i documenti e ti sposavi, ma ci voleva la firma dei genitori. Così due giorni dopo sono andata coi miei suoceri a casa mia . Sono entrata e mia madre era lì in piedi , le braccia incrociate, pronta a ricominciare a darmele, ma ormai non poteva fare più nulla.

Ci siamo sposati il 6 aprile di quell’anno  in chiesa, ma a porte chiuse. Io, lui e due testimoni. Quando fai la fuitina non ti sposi con le porte aperte e con gli invitati. Siamo andati la mattina alle 6.30 in chiesa, noi due soli. I due testimoni erano due che per caso stavano lì davanti alla chiesa. Poi siamo tornati a casa dei suoi genitori e siamo andati a lavorare in campagna e questo è stato il nostro matrimonio: niente festa, niente bomboniere, niente foto, niente invitati. e , come viaggio di nozze, in campagna a lavorare.

A settembre pure mia cognata ha fatto la fuitina ed è uscita di casa.. Lei era di un anno più vecchia di me. Dopo 6 mesi mio marito è partito militare. Io ero in stato interessante di un mese. La prima volta è tornato dopo 2 mesi. Quando ho partorito è tornato dopo tre giorni ed è rimasto  tre giorni. Ha fatto 15 mesi di militare e, quando è tornato, lui andava a lavorare in campagna io invece in  casa ed in campagna con mia suocera che mi comandava. Anche allora i pianti erano un continuo: piangere e lavorare e a farmi comandare da mia suocera e da mia cognata. Facevo i lavori in campagna fino a mezzogiorno, poi tornavo a casa e preparavo da mangiare per tutti. Loro non potevano farlo perché erano stanchi. D’estate preparavo il pranzo e glielo portavo in campagna.

Questa è stata la mia vita per 15 anni.  In quella casa nessuno si opponeva a mia suocera. Lei  era la padrona indiscussa.  Nessuno poteva aprire bocca. La mia fortuna è stata che poi ci siamo trasferiti a Latina. E’ stato molto duro  convincere mio marito a trasferirci. Aveva ragione: andare nelle campagne dell’Agro Pontino dove non c’era telefono, né corrente elettrica con due bambine, che nel frattempo era nata la mia seconda figlia, e senza soldi ,era un salto nel buio. Non avevamo niente. Abbiamo lavorato dal lunedì mattina fino alla domenica sera per due anni.

In quel periodo era capitata l’occasione di poter comprare un terreno di due ettari. Poi mio marito ha cominciato a lavorare nell’edilizia ed io ho trovato lavoro in un’ azienda di fiori. Così con due stipendi sicuri e con tanti sacrifici, rinunciando a tutto e ringraziando Dio che ci ha dato la salute, siamo riusciti a costruire una casa per noi e per i nostri figli che nel frattempo era arrivato il terzo, un maschietto. Abbiamo sempre lavorato duramente fino al momento di andare in pensione.

Abbiamo festeggiato le nozze d’argento nella nostra chiesetta del borgo vicino a Latina con 50 invitati  e le nozze d’oro nella chiesa del nostro paese, Arnara, dove sono nata e dove ci siamo sposati la prima volta quasi di nascosto, ma questa volta c’erano tantissimi invitati.Oggi ho 74 anni e mio marito ne ha 76. Se penso a come  è iniziata la nostra vita insieme mi sento molto realizzata. Ho  una casa, tre figli rispettosi. Sono tutti e tre sistemati. Due generi meravigliosi ed una nuora altrettanto meravigliosa, 3 nipoti meravigliosi e tre pronipoti altrettanto meravigliosi.

Testimonianza raccolta da Maria Luisa Dezi