Giampiero Catone: riduciamo le misure assistenziali e diamo più soldi a chi lavora

Nell’editoriale di Giampiero Catone, pubblicato su “La Discussione” e incentrato sul tema del lavoro, si mettono in luce le gravi conseguenze dell’assistenzialismo e della mancanza di adeguate politiche attive del lavoro.

Giampiero Catone

Giampiero Catone sugli effetti del (troppo) assistenzialismo

Senza mai obiettare il sacrosanto dovere di aiutare chi è in difficoltà, Giampiero Catone sottolinea come le troppe misure di assistenzialismo stiano acuendo il “mismatch” tra domanda e offerta di lavoro. L’economista e Premio Nobel per l’economia Milton Friedman diceva: “Se paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora cosa altro vuoi aspettarti?”. Il problema è che focalizzandosi eccessivamente sulle scelte assistenziali, anziché sulle politiche attive del lavoro, “si disincentiva chi lavora e produce” e si paga bene chi preferisce rimanere sul divano. Attualmente, solo lo 0,2% del Pil è dedicato ai servizi e alle misure di attivazione del lavoro e di riduzione della disoccupazione, mentre oltre il 16% è destinato alla spesa passiva, condizione che è destinata ad aggravarsi a causa della crescita di nuove forme di lavoro, “sempre più discontinue e povere”. Tale situazione rischia inoltre di innescare una vera e propria “bomba sociale”, ovvero “il blocco della produzione per mancanza di addetti”.

Giampiero Catone: uno spiraglio con il PNRR

Cosa si potrebbe fare quindi per incentivare la creazione di lavoro? Giampiero Catone riporta quanto affermato dal Presidente dell’Inps Pasquale Tridico, il quale osserva che “se la domanda di lavoro non soddisfa l’offerta allora questa ultima deve adeguare le sue condizioni”. Ciò si traduce in “stipendi più pesanti, condizioni ottimali di lavoro, meno ore lavorate”. È inoltre importante investire nelle future generazioni. In tal senso il PNRR rappresenta una grande opportunità, dato l’alto numero di investimenti previsti per aiutare i giovani e far evolvere il mercato del lavoro. La missione “numero 5” del Piano dedica infatti “oltre 6 miliardi alle politiche attive del lavoro e alla formazione”. C’è un però: affinché l’esito dei miliardi da spendere sia positivo, è necessario trovare “percorsi adeguati” e “infrastrutture nuove per far incontrare lavoratori e imprese”. Ovviamente, il tutto dovrebbe essere accompagnato da “una seria discussione su come favorire la mobilità del lavoro, disincentivando il ricorso a strumenti puramente assistenziali”.