La discesa di Garibaldi in Meridione e lo sbarco a Marsala tra il 1860 ed il 181 non solo portò alla cacciata dei Borboni con l’annessione del Mezzogiorno, che molti al Sud considerano ancora una conquista e non una liberazione, determinando così la nascita del Regno d’Italia il 17 marzo del 1861, essendo quindi passati pochi giorni dal 162 anno dalla costituzione, ma pure alla crisi della nobiltà ed al formarsi della borghesia come testimoniato dallo scrittore Tommasi di Lampedusa nel suo capolavoro “Il Gattopardo” dallo stemma sul soffitto del palazzo del principe di Salina, con il gran ballo nel celebre Film interpretato dalla “star” Claudia Cardinale. Lì si festeggia il prossimo matrimonio del nipote Tancredi con la figlia del sindaco Don Calogero Sedara ed il principe s’augura che “tutto cambi perché nulla muti”: insomma siamo di fronte al desiderio d’una stagnazione socio – economica in evoluzione e partendo da tali concetti l’autore moderno Roberto Calvosi ha effettuato una libera rielaborazione e riadattamento del testo, vedendo il tutto dalla parte della classe operaia e del proletariato, sorto nelle regie dei sovrani illuminati del XVII secolo e poi codificato nella prima rivoluzione industriale inglese agli inizi dell’Ottocento con il fenomeno del “luddismo”. D’altronde di questa nuova atmosfera civile e del matrimonio tra ceti fino allora agli antipodi si trova traccia pure nel romanzo “Mastro Don Gesualdo” di G. Verga dove il ricco possidente dilapida il suo denaro per la fissazione del titolo da comprare impalmando Bianca una dei decadenti Trao il cui palazzo sta andando a fuoco ed un altro rimando lo si rinviene nel volume “I Viceré” di F. De Roberto con il tracollo degli Uzzedda, la cui porta cittadina è situata nell’angiporto di Catania. Dunque, immaginando che sia in corso il ballo per l’addio al celibato del nipote del principe Don Diego Monteleone e che lo stesso abbia deciso con la fidanzata figlia del capitano Calogero, tornano pure i nomi, donna Margherita le deliziose, succulente e numerose portate per il matrimonio con lauto banchetto di rito, Calvosi ci mostra come nella stracolma di pentole e bidoni d’olio ed aromi, liquidi per le saporite salse, cucina fervano i preparativi per riuscire a soddisfare pienamente l’aspettative degli sposi di fare bella figura con il resto dei titolati convitati, che gli inservienti ed addetti alla gastronomia, sotto la guida di un’abile e pretenziosa cuoca, ben incarnata con la giusta grinta e caparbietà da Tosca d’Aquino, spiano dalle scale con i loro sfarzosi vestiti, apprezzando in primo luogo le splendide fattezze della giovane Margherita da tutti invidiata per le sue slanciate ed aggraziate forme. Niente ci viene risparmiato di quanto oggi si potrebbe ritenere avvenga nelle cucine di ”chef” di grido come Vissani, Cracco, Cannavacciuolo ed altri che Paolo Marchi va puntualmente a visitare nella sua settimanale rubrica sulla rete ammiraglia di Mediaset, che fa informazione ma pure solleva scandali contro la RAI con i casi di Sanremo e della direttrice di TG1 Maggioni, di Boubakar Sumaoro e dell’Agenzia dell’Entrate dove è stato aggredito Ghione dal gestore del bar per l’affare degli scontrini non rilasciati; nella scena della grande lavorazione artigianale delle pietanze s’alternano momenti d’amore e slancio sentimentale come quello di Teresa per il figlio Carlo venuto in licenza dall’Esercito per due giorni ad altri di ripicche e gelosie per le migliori preparazioni dei gustosi piatti tra la stessa ed il suo aiuto Monsù Gaston, mandatole in soccorso dal principe medesimo. Perciò s’alterca aspramente tra chi è il più bravo ai fornelli, sostenendo Gaston che Teresa gli ha rubato le ricette principali, ci si lancia accusa pesanti e ci si scaglia padelle e pentole, vassoi, mentre ci si domanda pure come mai la Chiesa non condanni quei dolci preparati dalle suore, quali le “ minne”, che hanno fogge sensuali provocatorie e dissacranti.SI svelano gli altarini delle vere identità dei personaggi e si scopre che il principe in realtà in gioventù è stato un gran donnaiolo ed ha sedotto anche il facile cuore di Teresa, che era una prostituta che visse con lui una passionale estate sessuale sulla spiaggia del bel mare isolano, che poi logicamente non si pot concretizzare per la differenza di classe ancora gerarchicamente separate e che lasciò come frutto comune il piccolo Carlo, come Gaston intuisce senza tuttavia che Don Diego ne sappia nulla. Il ragazzo invece capisce e s’addolora rendendosi conto che il cuore della mamma spasima fortemente per il principe con una pulsione indelebile non rimossa rispetto all’amore per lui, come ci s’attenderebbe in effetti secondo la ragione della canzone di Pino Daniele indimenticabile “Ogni scarafone è bello a mamma sua”. Altro amore caustico è quello che il maggiordomo anziano Culicchia nutre per Teresa, pensando di poterla sposare ed arricchire, tuttavia lei non lo considera che per mezzo secondo e lui, con i pitali in mano per l’abbondante urina dei commensali che ha allagato i bagni, dice che sono stati gli attimi più felici della sua esistenza. In Culicchia, nei cui panni si fa apprezzare il sornione ed arguto Giancarlo Ralli, mentre Monsù Gaston è un dinamico ed imperioso, vendicativo ed ambizioso protagonista ben reso dal salace Giampiero Ingrassia, che rappresenta lo spirito intraprendente della classe borghese per crescere finanziariamente con la produzione di caciocavalli e la loro esportazione nel continente. La sorte, come nel “ciclo dei vinti” sempre del verista Verga, s’accanisce contro di lui ed il povero Culicchia con il naufragio delle navi commerciali da trasporto, alla maniera dell’affondamento della barca “Provvidenza” con il carico dei lupini nel primo romanzo “I Malavoglia” in cui Bastianazzo e la Longa, all’anagrafe registrati come Toscano, muoiono e la loro casa “del nespolo” dovrà essere ipotecata, mentre ‘Ntoni diventa contrabbandiere rifiutando il mito tematico “dell’ostrica” ed il più piccolo Luca perirà a Lissa nella terza guerra del Risorgimento patriottico. L’ironico spirito velenoso e lo sberleffo tra Gaston e Teresa si concretizza nella figuraccia che il primo fa fare alla collega cuoca recando al principe la zuppa di castagno cucinata dalla sua vecchia fiamma e questo rientra negli scontri ed ricatti che i due si fanno con un rovente rapporto dialettico, mentre splendida è la scena all’inizio del secondo atto i cui cuochi e paggi appaiono con concavi paralume a forma di campana che l’avvolgono nel fulgore delle luci e con il sottofondo dell’allegre e vivaci musiche di Ivo Parlati. Pertanto relazioni pericolose e promiscue, affascinanti ricordi imperituri, un’alterna vicenda esistenziale gastronomica, menù esotici e dall’acquolina in bocca si compenetrano nel fresco lavoro antologico di passione culinaria e sensuale, sesso consumato con lascivo languore e vagheggiato con ardore disilluso, si diffondono profumi olfattivi percepiti con vano appagamento della gola rimasta a rimirare il titolo ”Amori e sapori nelle cucine del principe” che la bionda ed affusolata regista vezzosa Nadia Baldi ha ben curato con intelligente divertimento. Del cast dello spettacolo, coprodotto dallo Stabile “La Contrada” di Trieste e Teatro Autonomo Regionale di Messina, fanno parte pure con efficacia gestuale, mimica e verbale con fine scansione orale :Tommaso D’Alia, Enza De Rose e Francesco Paolo Ferrara, sviluppando scenicamente un’idea di Simona Celi. Il lavoro sarà replicato al Quirino alias Vittorio Gassman fino a domenica prossima delle Palme 2 Aprile. Intanto numerosi turisti, oltre il 30% in più rispetto allo scorso anno, stanno affollando la capitale per ammirare la megalopoli con i suoi palazzi e monumenti ed assaporare la sua squisita cucina tipica, pur se un terzo degli alberghi restano ancora chiusi e c’è anche da noi il problema del reperimento della manodopera, che da agosto con l’abolizione del reddito di cittadinanza non potrà più lavorare in nero.
Giancarlo Lungarini