LA TERZA OPERA DELLA TRILOGIA DI T. BERNHARD SULLE “ARTI DRAMMATICHE” IN SCENA AL VASCELLO

Il maggior letterato austriaco del Novecento fu senza dubbio Thomas Bernhard che non perdonò mai alla sua patria d’aver dato i natali all’imbianchino Hitler, che qualche invasato tedesco porta ancora allo Stadio Olimpico con la scritta sulla maglietta e non è un’impresa nuova in quanto recidivo, divenuto poi un furioso dittatore megalomane imitato da un altro, che egli stimava, in Italia,ma soprattutto d’essersi piegata all’annessione(Anschluss) del 1938 da parte della Grande Germania, già pensata a metà Ottocento. Tuttavia negli anni Ottanta del XX secolo riuscì ad accantonare per un attimo codesti suoi amari e polemici concetti politici per dedicarsi solo alla composizione d’una trilogia sull’Arte nelle sue varie forme e discipline espressive. Il primo lavoro lo riservò alla Pittura, il secondo al Teatro e nel terzo trattò, con un romanzo sotto forma di monologo, la problematica della Musica, compilandolo nel 1983.Qui esaminava specialmente i rapporti progressivi familiari e d’amicizia che si creano in una classe, in una squadra, una palestra o Conservatorio, una collettività od un oratorio, allorché si segue un “leader”, un professore , un maestro od una guida , un padre spirituale e sorgono quegli spiriti d’emulazione, quella sana competizione tra chi è il migliore, il più bravo a recepire gli insegnamenti del maestro, allenatore e magari ad essere suo vice nello spogliatoio, in campo od a sostituirlo durante una sua temporanea assenza, facendo ripassare i compagni o dando loro consigli e suggerimenti. Naturalmente ogni tanto spuntava nel testo qualche attacco all’imbelle dottrina civile della comunità nazionale e nell’adattamento teatrale il riduttore Ruggero Cappuccio ha provveduto ad emendarli in quanto esulano dall’argomento centrale relativo agli anni Cinquanta. Siamo al Mozarteum di Salisburgo ed in una classe L’Io Narrante, che qualcuno ha voluto identificare nello stesso Bernhard od in un figlio di ricchi proprietari di fornaci di calci e laterizi, Glenn Gould canadese e Wertheimer, discendente da agiata famiglia ebraica, stanno seguendo le lezioni di pianoforte di Daniel Horovitz con uguale passione e fervore, ma logicamente le doti ed inclinazioni attitudinali sono diverse per cui iniziano a derivarne livelli differenti di rendimento ed impressione positiva come avviene in qualunque settore dell’attività pedagogica, dell’artigianato con gli apprendisti e del secondo livello produttivo, ossia nell’industrie con i caporeparto, per non citare il terziario con funzionari Direttori di Divisione. Lo strumento musicale assurge ad idolo, diviene l’elemento divisorio ed infatti il regista Federico Tiezzi ambienta la pièce non in un Istituto scolastico, bensì sotto l’imponente piramide canoviana contenente la tomba di Maria Cristina d’Austria che si trova al centro di Vienna, per mettere meglio in risalto l’oggetto che instaura rivalità e gelosia d’acculturazione professionale tra i tre discepoli d’Horovitz, impedendo il nascere d’un sano rapporto d’amicizia e di reciproco aiuto. Il pianoforte Steinway sotto le dita di Glenn Gould risuona meravigliosamente per il suo prodigioso talento innato, mentre Wertheimer non ha lo stesso magico tocco e si rende conto dell’inferiorità che esiste nel confronto con il compagno, come accadeva nell’Ottocento nel paragone tra Mozart e Salieri tanto che si ritiene che quest’ultimo, al colmo dell’ira e dell’intolleranza, l’abbia avvelenato. Banco di prova di questo complesso di sudditanza psicologica è la prestazione pianistica sulle “Variazioni di Goldberg” di J. S. Bach in cui Gould è strepitoso per la sua esecuzione, mentre il suo fiero ed indomito competitore non è in grado d’eguagliarlo e cresce l’invidia ed il rancore verso Glenn, che poi dopo il diploma si sarebbe ritirato in vecchiaia nelle montagne del suo Canada e per dieci anni non avrebbe più suonato , come ci ricorda il Narratore impersonato da un impeccabile e fine dicitore, elegante nel suo frac, qual è Sandro Lombardi. Egli ricorda la sua visita nel Paese simboleggiato dalla foglia d’acero, avendo mantenuto una posizione neutro di testimonianza del rapporto conflittuale creatosi tra i due pianisti, tanto che dopo una lunga ed amara depressione fallimentare, mai superata con fiduciosa apertura riequilibrata dall’elaborato ed assorbito trauma studentesco, Wertheimer si sarebbe impiccato con un atto predeterminato e con un clamoroso gesto istintivo.

Tale tragica fine viene ricostruita dal presunto dialogo, progettato ipoteticamente dal fantasioso regista per rendere più attraente ed assimilabile il racconto, tra il Narrante appunto ed il fantasma di Wertheimer, tragicamente rimpianto dalla sagoma della sorella, anche lei deceduta per l’inconsolabile dolore della perdita immatura del fratello nonostante avesse cercato conforto ed pace nel matrimonio, che, per la disperazione che l’aveva intimamente devastata, getta al vento confusamente gli spartiti causa dell’estremo comportamento da “eroe goethiano” del congiunto, alla maniera del giovane Werther protagonista dell’omonimo romanzo dell’autore di Weimar, che soggiornò pure a Roma in via del Corso, vicino a Piazza del Popolo. Gli interlocutori immaginari di questo progressivo rapporto di disagio e lenta cresciuta antipatia ed inimicizia tra Glenn Gould e Wertheimer, rivissute e dettagliate anatomicamente, particolareggiate frammento per frammento , con sobria disquisizione oratoria per 75 minuti, sono Martino D’Amico e Francesca Gabucci con gli splendidi abiti da musicisti di serata di gala e la maestosa scena descritta di Gregorio Zurla. Il lavoro si conclude con Bernhard, il verosimile Io Narrante e terzo soggetto arbitro della “querelle” con cadavere, che, per rispetto verso il geniale Gould e riconoscimento dei suoi limiti potenziali e cognitivi, s’astiene davanti al mostruoso feticcio pianistico dal suonare il terzo movimento di Bach, avvertendo un psicologico tabù ineliminabile per affrontare il cimento con una prova della sua abilità a due mani. Lo spettacolo sarà in scena al Vascello di via G. Carini fino a domenica 26, prima di Primavera con l’ora legale ed ultima ecologica a Roma. Lo spettacolo è una coproduzione della Fondazione Campania dei Festival, Associazione Teatrale Pistoiese e della Compagnia Lombardi – Tiezzi. Rientra nel genere del teatro “ da camera” , non da tutti gradito, ma culturalmente, “in primis” per i musicologi ed amanti del pianoforte, vale la pena di vederlo.

Giancarlo Lungarini