L’EVOLUZIONE ANTROPOLOGICA DALLA “GREAT REAF VALLEY” AL PERICOLO PER L’ECOLOGIA

Ci voleva un brillante ed icastico dicitore umoristico e pungente come il bellunese Marco Paolini per vedere il Vascello di via G. Carini pieno in ogni ordine di posti per lo spettacolo “Antenati –The Grave Party “ e si può dire che la fervida attesa e la raccolta partecipazione del pubblico per non perdere una parola del suo processo all’uomo moderno non è andata delusa. Dalla denuncia civile della tragedia della diga del Vajont che tracimò e le acque inondarono Longarone con i paesi vicini, come quello di Erto dove abita Mauro Corona che partecipa a “Carta Bianca” in spiritosi e polemici duetti con Bianca Berlinguer, ad oggi è trascorso molto tempo, ma l’indice di gradimento, lo “share”, di Paolini è salito enormemente ed egli ne è consapevole perfettamente tanto che, dopo un periodo di forzata assenza per un incidente nella vita privata, è tornato in forma più smagliante di prima, nonostante i suoi 67 anni, per indagare la condizione dell’uomo moderno in relazione al clima ed all’ambiente, che hanno registrato imponenti manifestazioni al Nord Europa con Eva Thunberg fermata per qualche ora dalla Polizia norvegese. Egli in questo suo “ “excursus” storico – biologico parte dalla pianura tra il Kenya e la Tanzania, conosciuta come la “Great Reaf Valley” per analizzare l’evoluzione darwiniana dell’essere umano e degli animali minuscoli , quali virus e batteri, per constatare a che risultati siano approdati. Nello spettacolo si ricollega al progetto “La fabbrica del Mondo” che ha condotto al successo con Plevani nello scorso inverno su RAI 3 ed immagina di convocare tutti i suoi Avi in un confronto attuale sull’oggi e sui rischi che l’individuo si sta procurando da sé ed ecco il motivo per cui i nostri progenitori in questa riunione, o party solenne e ragionevolmente tombale, ci mettono in guardia contro la mancata salvaguardia del pianeta per le minacce che stiamo arrecando alla nostra sfera abitativa con i “gas serra” il cui livello sta superando il già fatidico 2% con l’emissioni tossiche.

Tutto questo Paolini lo racconta con la sua tipica oralità dal pacato fluire comico ed epico che incatena l’appassionato di tale genere recitativo da camera alla sua poltrona per non perdere una battuta, che viene sciorinata con magistrale leggerezza satirica, equilibrio del funambolico linguaggio discorsivo e sintonia dilettevole con le musiche di Fabio Barovero. A questo onirico convegno antropologico partecipano i principali nonni di 200.000 anni di Storia, tra cui il primo è suo nonno di cui il genoma dell’attore, studiato dall’endocrinologia con il mutamento dovuto alla contaminazione con il DNA degli altri suoi antenati, è il prodotto. Volendo enumerarle tutte, secondo lui, sono ben 4.000 le generazioni passate da quell’iniziale comparsa dell’”Homo abilis” e poi “erectus” fino a quello “sapiens” di Neanderthal con le testimonianze epigrafiche nelle grotte del Guattari al Circeo e di Cro Magnon in Provenza; tuttavia i primi esseri viventi erano gli animali della microbiologia : i batteri e ed i virus, da cui è nata la pandemia del Covid 19 per la fuga di quello del pipistrello dal laboratorio di Wuhan. In chiave fisica ha esaminato come dagli atomi, di cui discettavano anche gli atomisti greci Democrito e Leucippo con l’aggregazione trasversale del “clinamen” si sia arrivati oggi alla minuscola particella di “Quark”, alle macchine all’idrogeno ed all’intelligenza artificiale. Noi abbiamo inventato l’oralità epica di cui Paolini è un maestro con la sua comica ”vis” che discende dai rapsodi ellenici, il primo dei quali, probabilmente in base alla questione omerica, sarebbe stato proprio l’autore dei due poemi decennali sulla guerra di Troia ed i “nostoi o ritorni “ ad Itaca di Ulisse ovvero Odisseo alias Nessuno; perciò i tragediografi e commediografi greci hanno escogitato le due forme teatrali della finzione e noi siamo i padri della glottologia o delle lingue idiomatiche, secondo le sfere d’influenza mondiale, per denominare gli oggetti. Noi eravamo abituati a spostarci con le popolazioni nomadi per assuefarci al clima, ma ora rischiamo d’estinguerci per il mancato rispetto dell’ecologia ambientale in nome del profitto smodato del secondo settore : ovvero le industrie innovative e tecnologiche. I problemi del presente per l’avidità capitalista del massimo sfruttamento delle risorse si sommano a quelli minori del passato in 200.000 anni. Siamo in piena competizione economica e politica tra la Russia e gli Stati Uniti, con l’abbattimento dell’ala del drone da parte del caccia di Putin sul Mar Nero, legato forse al dramma dell’Ucraina sotto assedio ed occupata nella parte Est, mentre la Cina sta alla finestra per approfittare eventualmente dello scontro tra i due giganti e colonizzare ancor più l’Africa, minacciando pure Taiwan assai preziosa con la sua democrazia. Non siamo più prede umane dei cannibali, pur se in alcune lontane terre ancora rimangono, ma siamo diventati randagi predatori senza scrupoli etici o di coscienza ed infatti sosteneva Darwin che più che la specie è l’individuo ad evolvere, talora però il suo spirito è negativo e teso unicamente alla prepotente arroganza della criminalità e del potere sul più debole e fragile. Afferma il buon Marco “La nostra storia è un poema epico in codice e noi non ne rappresentiamo né la fine e tantomeno il fine” con i nostri difetti congeniti e l’acquisite virtù degli avi, che riuniti tutti insieme ci danno consigli sul come evitare di estinguerci per deleteri cambiamenti di clima determinati con superficialità dai nostri comportamenti irresponsabili. Paolini incarna l’uomo moderno che si sottopone al giudizio dei suoi simili trapassati, delle sue ombre, in una caleidoscopica disamina delle criticità attraversate ed oggi drammaticamente acuitesi in nome del denaro e delle altre vili prerogative d’eccessivo dominio sociale, cui non si sa rinunciare ai vertici con più tutela dell’ambiente vitale e dell’umanità povera ed indifesa. Il lavoro sarà replicato con forte valore didascalico e scientifico fino a domenica 19, ultima d’inverno, al Vascello a Monteverde.

Giancarlo Lungarini