TRADIMENTI SENTIMENTALI E FINTA PAZZIA PER USCIRE DAI GUAI IN UOMO E GALANTUOMO” 

Continuando nella meritoria opera di studio ed analisi psicologica della drammaturgia del Novecento, il teatro di via delle Vergini diretto da Geppy Gleijeses, dopo aver rappresentato T. Williams e L. Pirandello, ha scelto di portare in scena l’altro grande drammaturgo e commediografo della Letteratura Italiana del XX secolo, ovvero quel geniale Maestro di Arte Teatrale e Neo Realismo quotidiano estrapolato dalla realtà di vita sociale che scrutava per le strade e che per i suoi insegnamenti pedagogici e sociologici fu nominato senatore a vita. Intendiamo parlare, forse l’avrete già capito, del sommo Eduardo De Filippo che per Napoli fu un vero talento, una risorsa preziosa, per la sua profonda caricatura dei tipi umani e la profonda psicologia a tutto tondo di cui li fece oggetto e di cui ci dà un’illustre ed esemplare testimonianza ammonitrice nelle sue opere. Tra tutte queste, che costituiscono un autentico campionario in cui è difficile stabilire il primato di qualcuna sulle altre, la Gitiesse Artisti Riuniti ed il Teatro Nazionale di Toscana hanno deciso d’allestire “Uomo e Galantuomo” il primo testo composto in tre atti nel 1922 e che nell’adattamento per le scene del regista Armando Pugliese è stato ridotto, per renderlo più serrato ed incisivo, a due. Possiamo affermare che i suoi contenuti sono molteplici per cui i concetti  espressi sono parecchi, trovandoci metaforicamente di fronte ad una “ matrioska” russa, ossia una di quelle bambole dai vistosi colori della terra del dittatore Putin che al suo interno ne contiene numerose altre. Infatti c’è la didattica del come fare teatro e delle qualità che bisogna possedere per essere veri attori efficaci e dunque credibili, ma pure rocambolesche vicende di adulteri tentati, amori senza solide fondamenta economiche importanti e la necessità di ricorrere a stratagemmi ed artificiosità ingannevoli, quali “deus ex machina” di matrice euripidea, per trarsi d’impaccio nei momenti cruciali e pericolosi per il proprio onore ed incolumità fisica. Argomento principale è l’osservazione al microscopio d’una compagnia di indigenti ed insipienti attori provinciali che sono riusciti ad ottenere per l’estate la scrittura per una serie di recite in uno stabilimento balneare e perciò sono scesi nell’albergo di Don Alberto per un alloggio economico conveniente e le prove occorrenti alla realizzazione d’uno spettacolo dignitoso che giustifichi la riscossione della paga pattuita. Il regista e capocomico, che fa il verso alla mimica estrosa e surreale di Eduardo con sarcastiche posture, espressività facciale straordinaria e comparativa dizione umoristica delle battute, è Gennaro De Sia nei cui panni si destreggia salacemente un incontenibile e frizzante Geppy Gleijeses, che ne combina di tutti colori con la sua ingenua sprovvedutezza ed arte arrangiata, che per la tecnica e l’esame delle figure e degli operatori teatrali può essere allineata alla “Commedia dell’Arte” in cui in un Commissariato di Polizia non si capisce se coloro che entrano siano attori veri od uomini del popolo. Dal canto suo Alberto De Stefano, interpretato dal figlio del protagonista Lorenzo, che sta crescendo artisticamente in stile ed impeccabile immedesimazione nei soggetti incarnati con disinvoltura, corteggia la bella Bice statuaria ed elegante che mette incinta, senza tuttavia saperne il nome e la residenza per cui deve farla spiare. Intanto Don Gennaro ne combina di tutti i colori in quanto s’unge la tasca della giacca con lo strutto e poi cade nella “buatta” dove si mantiene al caldo la conserva, ustionandosi i piedi. Don Gennaro deve a ripetizione riprendere il suggeritore Attilio, reso con icastica satira denigratoria da uno sprovveduto apparentemente Gino Curcione che non sa leggere i tempi ed i modi delle battute tra cui insistentemente blatera “ ‘n serra chella porta” , tuttavia il temperamento di Don Gennaro è messo a dura prova anche da Viola che come attrice e di lui amante esprime tutta la sua insoddisfazione per la parte in cui si destreggia Irene Grasso, mentre il guappo Salvatore De Mattia suo fratello che non gradisce le lusinghe sessuali per la sorella dello scalcagnato Gennaro è dato con aria criminale da Gregorio Maria De Paola. Intanto Don Alberto, saputa l’identità e la residenza di Bice, si presenta nella sua casa per rivendicare come galantuomo la paternità del nascituro e chiedere la mano di Bice, l’affascinante Roberta Lucca affidabile nel suo improvviso disagio, che però è la moglie del conte Carlo Tolentano, che Ernesto Mahieux impersona con una formidabile carica fescennina briosa ed arguta, appassionato pure di medicina che s’offre di soccorrere l’ustionato De Sia, meraviglioso Geppy nell’incedere su punta e tallone da vero infortunato, mentre la cameriera Ninetta, da presuntuosa sapiente donna delle pulizie e della cura e tutela del guardaroba, promette di sistemargli la giacchetta, invece da sbadata ed ignorante pure lei finirà per bruciargliela completamente. Qui Eduardo mette in risalto non soltanto la differenza di classe tra borghesi e plebe, ma anche la loro vanesia prosopopea che sconfina nell’incompetenza ed inesperienza. Quindi arriva il sarcastico delegato di Polizia Cavaliere Lampetti,  che vuole arrestare per corruzione e diffamazione Don Alberto il quale per sottrarsi alla galera ed al duello per sua reputazione con il conte finge d’essere pazzo con una macchietta alla Ridolini, ripresa dall’”Enrico” IV di Pirandello.

Il gioco delle relazioni fedifraghe non è tuttavia esaurito in quanto per aiutare il poco accorto Don Alberto, messo in mezzo ed usato come strumento di vendetta da Bice, Gennaro, che dovrebbe dal canto suo ringraziare il conte per la medicazione, ne smaschera le tresche galeotte con le missive adulterine all’amante rendendogli la pariglia e dunque al povero nobile beffato, similmente alla “Mandragola” di N. Machiavelli, non resta che uscir artatamente di senno con un goliardico spasso irrefrenabile degli spettatori. L’astuto e laborioso Commissario Lampetti, con la suadente  verve di Ciro Capano e nell’impettito ed integerrimo suo ruolo pubblico di tutore dell’Ordine, non può che rimettere in libertà Don Alberto reso innocuo il conte Tolentano, mentre a rimanere schernito sarebbe Don Gennaro che dovrebbe pagare la donna compiacente nella sua escogitata difesa dell’albergatore raggirato seduttivamente. Lo strepitoso Geppy è alla settima rappresentazione delle opere di Eduardo e per l’ultima di Domenico Soriano in “Filumena Martirano” con la regia di Liliana Cavani è stato insignito del titolo di miglior attore europeo nel 2018 dall’ Accademia Europea Medicea. Lorenzo è invece discepolo dell’Odin Theatre di Eugenio Barba a Copenaghen ed ha interpretato Luigi Strada in “Ditegli sempre di sì” con la regia del padre. Le scene lucide e adorne dell’albergo e della casa del conte, in  cui Antonella Cioli nella veste di Matilde Bozzi madre di Bice fa gli onori di casa e svela gli altarini impiantati dalla figlia furbescamente, sono state create da Andrea Taddei ed il regista Pugliese si conferma un valente estimatore con notevole praticità nella focalizzazione di tutti gli aspetti reconditi della produzione eduardiana, con la fucina e la saggezza di scavo dei personaggi maturata attraverso i trionfi scenici riportati con l’indimenticabile erede Luca De Filippo. Il lavoro sarà replicato al Quirino fino al 5 marzo e poi toccherà al capolavoro del Verismo del siciliano  Giovanni Verga, allievo teorico della scuola di L. Capuana : “La Roba” novella desunta dalla raccolta rusticana, seguita alla prima “Vita dei Campi”.

Giancarlo Lungarini